Laboratorio “Tre Giorni di Storia Contadina tra Passato, Presente e Futuro” – Giorno Uno

Laboratorio “Tre Giorni di Storia Contadina tra Passato, Presente e Futuro” – Giorno Uno

Capitolo 1. Il Passato

Quando una comunità si riunisce e inizia a riflettere sul proprio passato, e crea legami tra ricordi ed emozioni, un ponte con il presente viene eretto e il futuro assume la valenza di un amico da ritrovare, e non da conoscere, di un amico di cui si erano perse le tracce, che aveva vagato lontano, e che poi ritorna, inaugurando insieme un divenire che affonda le radici nella memoria.

Perché passato e futuro, lo sappiamo tutti, sono due estremi che si uniscono a formare un cerchio. Il nuovo e il vecchio dunque si salutano e si scoprono. Il vecchio si rinnova e diventa attuale attraverso le lenti delle esperienze e delle fresche emozioni dell’oggi; il nuovo si riconosce in ciò che è stato e ripercorre i passi a ritroso, per comprendersi meglio.

Quale Passato riemerge, quando la comunità della Valbrenta si riunisce e inizia, insieme, a ricordare?

Anche il più fortuito e casuale degli avventori, giunto in Valbrenta, si ferma ad ammirare il paesaggio e rimane incantato ad osservarne gli innumerevoli terrazzamenti sparsi qua e là. Anche il cartello sul ponte che unisce Carpanè a Valstagna gli suggerisce lo spirito che permea quel luogo:

Valstagna, Paese delle Canoe Kayak e del Paesaggio Terrazzato

Ma per l’avventore che sosta esiste solo il presente del suo sguardo, e lo solletica solo un vago presentimento della storia e della vita passata di quei luoghi. Un abitante della valle, invece, sa e conosce, e ogni suo sguardo attuale sul paesaggio contiene sempre un po’ di storia vissuta, di ricordi, di legami e di esistenze. E il suo pensiero non può che sostare sulle màsiere, i muri a secco dei terrazzamenti. Perché è là che si è consumata gran parte della storia della Valbrenta, è sulle banche – i terrazzamenti – che la vita contadina è nata.

Per sapere cosa rimane, oggi, di quelle storie e tradizioni, e capire a quale futuro stiamo andando incontro, non possiamo che farci – ma soprattutto rivolgere a loro, gli abitanti e contadini della valle – una domanda:

Cosa avete imparato dal passato?

Il laboratorio “Tre Giorni di Storia Contadina tra Passato, Presente e Futuro” non poteva che aprirsi sui ricordi della vita – contadina e non – sul paesaggio terrazzato della Valbrenta.

Venerdì 14 ottobre abbiamo così inaugurato un percorso di riscoperta dei valori e delle emozioni del passato che ci portiamo dentro. Ci siamo ritrovati al Museo Etnografico di Valstagna e siamo partiti da un quesito molto importante:

Quali erano i nomi originari dei terrazzamenti?

Perché un tempo le masiere erano chiamate per nome. Avevano un’identità, e con essa anche una dignità. La prima operazione che si fa, quando si ritrova il corpo di un disperso, è quello di restituirgli un’identità attraverso la ricostruzione della sua storia. Ma per ricostruire la sua storia, è necessario sapere chi è, e per sapere chi è, bisogna recuperare il suo nome e cognome. E i terrazzamenti – corpi sparsi, dispersi e ritrovati, della storia della Valbrenta – possedevano un nome. Come me, come te, come noi. E ogni nome aveva una storia familiare.

Ci sono terrazzamenti che prendono il nome dai loro proprietari, e quindi possiamo avere Campi de Talian, de Seren, dea Maria de Berto, de Jaco ad Oliero, giusto per citarne alcuni. Altri terrazzamenti sono denominati a partire dalle caratteristiche “fisiche”: dalla forma o dalla dimensione. E allora i nomi possono essere Campo Ceo, Campo Grando, ad indicarne la grandezza, Campo Longo, Campo de Ritonda con riferimento alla loro conformazione. A Giara Modon abbiamo Campo a Stea, Steetta e Steiin – a stella, quindi – e fanno intendere che ci troviamo di fronte a terrazzamenti delimitati da cinque lati. E poi ci sono quelli che assumono il nome a seconda della posizione. Campo dea Riva, dea Isola e dea Isoetta, fanno riferimento alla loro posizione rispetto al Brenta, in questo caso perspicienti al fiume. Campo in Sima, Campo in Fondo, a Busa Bassa, a Busa Alta, ad indicare l’altezza in cui si trovano sul versante. Campo in Mezzo si riferisce alla relazione rispetto ad altri terrazzamenti. Perché i nomi, sono relativi, quasi mai assoluti, esprimono la dinamica delle relazioni e delle gerarchie.
Poi ci sono nomi che ricalcano la toponomastica locale. Ad Oliero abbiamo Campi de Palmina, Campi Tibeldre, dei Coreioni, a Londa Campi dea Vaegana, de Montericco, dea Val de Poi, ai Mori Campi dea Corda Bassa, Del Col Mezzo Rigo, tutti nomi di località.

C’era anche un’altra modalità di assegnazione dei nomi ai terrazzamenti, in base più alla destinazione d’uso, o ad una caratteristica particolare. Alcuni nomi derivano da una pianta specifica cresciuta al suo interno, come Campo de Persegaro – del pesco – ad Oliero, o Campo del Cornoearo – del Corniolo – ai Mori.

Ricostruire il significato del nome dei terrazzamenti vuol dire ripercorrere la storia e le vicende di quei luoghi e della gente che li ha abitati. Ad esempio, significativo è il nome Campo del Rifugio, che troviamo nella contrada Mori. L’utilizzo dialettale del termine ha connotazione bellica, con “rifugio” inteso come quel luogo usato come riparo durante un conflitto bellico. Nel terrazzamento in questione, o nelle sue prossimità, poteva esserci una grotta, utilizzata appunto come riparo; oppure poteva trovarsi una struttura costruita per lo stesso scopo. Diversi terrazzamenti recano il nome del Pozzo o dea Fontana, a significare la presenza di fonti idriche. Ricostruire la toponomastica delle masiere assume così non solo valore culturale e storico, ma anche pratico e funzionale, e potrebbe aiutare a ricomporre le conoscenze i saperi dietro il sistema complessivo dei terrazzamenti con i loro specifici usi e scopi.

La memoria storica è appannaggio di coloro che hanno vissuto direttamente vicende e situazioni e che ne sono stati testimoni. Se costoro scompaiono, se ne va con loro anche la memoria e la testimonianza. Ecco perché, al giorno d’oggi, è difficile ricostruire il contesto da cui nascono i nomi dei terrazzamenti. Ma ciò non ci scoraggia, tutt’altro. Ringraziamo anzi Ennio e Cristian che hanno creduto nell’impresa e hanno iniziato a raccogliere alcuni nomi dei terrazzamenti.

Vogliamo rivolgere un appello a voi che state leggendo questo articolo:

Se conosci i nomi dei terrazzamenti, o se conosci qualcuno che custodisce ancora questo prezioso sapere…contattaci senza problemi, anzi, ne saremo estremamente grati! Potete lasciare un commento sotto all’articolo, o scrivere un’email a: [email protected]

Il legame affettivo che c’era con la terra è suggerito, come abbiamo visto, dall’identità in un nome. Ma ciascun abitante della valle reca in sè un personale e particolare rapporto emotivo con i terrazzamenti e la loro storia. Ecco perché abbiamo rivolto ai partecipanti alcune domande incentrate sul legame tra loro e le Masiere:

Cosa significa per te “Masiera”? Un padre? Una madre? Un nonno? Una nonna? O quale altra parola ti viene in mente?

Quando senti il nome “Masiera”, quale sentimento nasce in te?

Pensa ad una parola o ad una farse che i tuoi genitori o nonni ti dicevano riguardo ai terrazzamenti?

Disegna un simbolo che per te rappresenta il “segno particolare” della “banca” (terrazzamento)

Nelle immagini seguenti potete vedere le risposte dei partecipanti:

Potete provare anche voi a rispondere a queste domande, lasciando un commento a questo articolo! 🙂

Dopo questo primo momento di condivisione collettiva, ci siamo avviati verso il momento centrale della giornata: i partecipanti si sono divisi in tre gruppi, a cui era assegnato ciascuno un particolare tema:

Il gruppo 1 si è confrontato sul tema “Relazione tra agricoltura terrazzata e l’ambiente della montagna di mezzo”, e ha elaborato la discussione in forma di disegno;

Il gruppo 2 ha ragionato invece sull’argomento “Conoscenze, capacità, pratiche, allevamento, ricostruzione e mantenimento delle masiere per produrre cibo sano a beneficio della comunità locale” e ha restituto le riflessioni in forma di mappa mentale;

Infine il gruppo 3 si è intrattenuto sul tema “Cultura delle masiere: costumi, tradizioni, storie, sagre, festività, canzoni, danze, poesie, abbigliamento, stagionalità…” elaborando un calendario annuale.

I momenti del confronto in gruppi:

Presentazione dei risultati

Dopo la cena, a base dei piatti tipici del passato, come la polenta, i formaggi la soppressa e ovviamente del vino rosso, i vari gruppi hanno esposto il prodotto della riflessione su ogni tema.

Gruppo 1. Relazione tra agricoltura terrazzata e l’ambiente della montagna di mezzo

Osservando il disegno che abbiamo fatto, ci siamo resi conto di aver tagliato fuori tanto il cielo quanto il fondovalle. La montagna di mezzo è proprio quella terra di mezzo, dove non si vede nè cielo nè fondovalle. C’è una coincidenza tra la montagna di mezzo e il limite fin dove arrivava il lavoro organizzato. I racconti più vivi riguardano la lotta per la sopravvivenza e sono legati al contrabbando, e il contrabbando si svolgeva proprio lì, tra i versanti.
La maggior parte delle terre erano adibibite alla coltivazione del tabacco, e i terrazzamenti avevano un ruolo preponderante, quasi schiacciavano le abitazioni. Solo una porzione limitata era usata per la sussistenza, mentre un’altra parte era legata al pascolo e alla produzione di fieno per sostentare le vacche. La mezzacosta era anche il luogo dove si andava a giocare da bambini. L’abitazione doveva garantire una condizione di vita migliore e sicura. “Avevo un compagno di scuola che ogni giorno veniva da Pian Grande” ha commentato Carlo, riflettendo sulle fatiche di un tempo.

Gruppo 2. Conoscenze, capacità, pratiche, allevamento, ricostruzione e mantenimento delle masiere per produrre cibo sano a beneficio della comunità locale

Ci avete chiesto di creare una mappa mentale con le parole dialettali legate al mondo dei terrazzamenti. Ecco a voi:

Ver Ocio, ovvero bravo a far su masiere. Era necessario sapere costruire, avere idea di quello che si costruiva ancor prima di costruirlo. Abbiamo pensato ad un importante strumento, a fissea, ovvero lo spago, indispensabile per ottenere un muro dritto.
‘A grassa. Il segreto della vita contadina sta tutto in quelle sinergia che esisteva tra la grassa e l’erba disposte sotto i rodai zappati. Era questo che dava fertilità alla terra, nonostante la monocoltura del tabacco. E i prati erano fondamentali quindi non solo per mantenere le vacche, ma anche per concimare i terreni. Guai a non avere pascoli, significava non avere vita.
Portar, rigorosamente sulla schiena, la grassa. Perché le vacche stavano giù, mentre i ampi in alto. E quindi la grassa – il letame, se non si era capito – doveva transitare dal basso verso l’alto per andare a concimare il terreno insieme a l’erba nei rodai.
Tassa de acqua sufficiente e necessaria al tabacco che era capace di abbeverarsi anche solo con la rugiada.
Ma è errato pensare che sui terrazzamenti era coltivato solo tabacco. Intorno ai bordi delle masiere veniva coltivata l’uva americana, che aveva come scopo quello di evitare i crolli dei muri.
Si era soliti affermare “vendemmiare il tabacco”, perché il tabacco era paragonato all’uva. E dopo la vendemmia del tabacco, venivano coltivati l’osco e il rega, due erbe annuali, che in primavera servivano da alimento per conigli e vacche, ed erano raccolte con la sesoea, il falcetto.

Gruppo 3. Cultura delle masiere: costumi, tradizioni, storie, sagre, festività, canzoni, danze, poesie, abbigliamento, stagionalità…

Per ogni mese dell’anno, sono stati inseriti modi di dire, i lavori agricoli, e le principali festività e usanze:

Conclusioni della giornata

Prima di congedarci, e di darci appuntamento per il prossimo incontro, incentrato sul presente della vita contadina sui terrazzamenti, abbiamo provato a dar risposta ad un’ultima domanda:

In quale parte del corpo collocheresti ora, dopo le riflessioni e i ricordi emersi, il tuo rapporto con la masiera?

C’è chi si è toccato le ginocchia, per il lavoro che preme sulle gambe e le piega; altri le spalle, perché conoscere il passato e la storia di questa terra ti fa camminare dritto, a testa alta, con fierezza, ti senti ancor più membro di questa comunità. La schiena rappresenta per alcuni la fatica e la responsabilità nel lavorare una terra difficile come quella della Valbrenta. Alcuni si sono toccati il ventre, altri le mani, qualcuno gli occhi.

È stata una bellissima giornata, all’insegna della condivisione, dei ricordi, delle emozioni e delle riscoperte.

Il prossimo appuntamento sarà a dicembre e sarà interamente dedicato al presente della storia contadina in Valbrenta.

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