Il Paesaggio che è dentro di Noi

Il Paesaggio che è dentro di Noi

Il paesaggio è la natura che si è fatta storia

Con queste parole Benito Sasso, ex sindaco dell’ex Comune di Valstagna, racchiude ogni valore espresso durante la Giornata Nazionale del Paesaggio tenutasi al salone delle Grotte di Oliero martedì 14 marzo.

Nominato già due volte, è proprio il paesaggio il protagonista. Inutile trovare sinonimo con cui sostituirlo. Ambiente e luogo ne condivido senz’altro il campo semantico, ma non possono sostituirsi a questo termine pregno di significato.

Paesaggio non è semplicemente ambiente; non parliamo solo di montagne, di fiumi, di mari, pianure, colline e via dicendo. Il termine racchiude anche quei luoghi in cui è stato impresso un senso, negativo quanto positivo. Paesaggio è anche il quartiere di una città, una fabbrica che si staglia contro il cielo… e come tale non può essere solo un luogo, termine troppo vago che non potrebbe tener conto delle tante sfaccettature.

Il paesaggio ha a che fare con la vita, con le persone e le loro storie. E’ l’intreccio della natura con la storia, per parafrasare Benito Sasso. Ecco perché, ormai più di dieci anni fa, nacque l’Osservatorio Locale del Paesaggio anche in Valbrenta:

«La sfida nasce nel 2011 quando nasce l’Osservatorio Locale del Paesaggio in Canale di Brenta, che ha posto la centralità su un territorio come la Valbrenta vista come luogo di passaggio» afferma l’attuale sindaco della Valbrenta, Luca Ferrazzoli. Luogo di passaggio e non paesaggio di passaggio. In un luogo transiti, in un paesaggio ti soffermi.

Paesaggio, potremmo dire, è la rivincita di un luogo che, non più mero passaggio, diventa sguardo che osserva sguardi su di lui. Diventa parte di un dialogo con la comunità, con i viandanti, con chi rimane per poco, e chi per molto. Contribuisce a definire quel gioco chiamato identità ancorata a radici vecchie e nuove.

E il paesaggio fa conoscere gente; stringe lui stesso rapporti con chi impara ad osservarlo e a viverlo. Perché sì, il Paesaggio non è passivo, è parte attiva.

«La valle a sua volta ha contribuito a valorizzare l’università, e non solo il contrario» afferma Mauro Varotto, docente presso il Dipartimento di Geografia all’Università di Padova, presente alla conferenza. La Valbrenta ha animato gli animi di tanti ricercatori. Non solo del centro studio patavino, ma anche degli studenti e docenti di architettura dello IUAV di Venezia. Ma l’elenco continua, perché il magnetismo del Canal di Brenta è forte e ha saputo attirare a sé anche architetti del paesaggio d’oltreoceano, dal Canada. Quando, più di 10 anni orsono, un gruppo di studenti dell’Università di Manitoba vennero in visita in Valbrenta, a conclusione di un tour esplorativo in Italia, e furono accolti dall’allora sindaco Benito Sasso…era già scritto da qualche parte che a quel primo incontro ne sarebbero succeduti molti altri.

L’impatto con il sistema di trasporto italiano destò un primo stupore negli studenti canadesi. «Ricordo ancora la stranezza che provarono quando, per raggiungere Firenze da Roma, dovettero prendere il treno! In Canada le distanze vengono colmate da un viaggio aereo» ci racconta Angela Luverà, architetto e moglie del compianto professor Alexander Everett Rattray. Anche lei presente alla conferenza sulla Giornata Nazionale del Paesaggio, ricorda con gratitudine quegli anni.
Ancora più sorprendente, continua a ricordare la Luverà, fu il contrasto tra i monti della valle e le praterie del centro Canada, in Manitoba. Il “Fare Paesaggio” non si racchiude in una formula ma si modula a seconda dei territori, della storia e delle persone. L’esperienza in Italia è stata importante e fondamentale per alcuni studenti del Manitoba per la loro carriera professionale come architetti del paesaggio.

Gli studi e gli interventi in Canale di Brenta hanno portato ad una serie di lavori. Ricordiamo la ricerca dell’antropologa Daniela Perco e del professore Mauro Varotto “Uomini e paesaggi del Canale di Brenta”, confluito infine nel progetto museale sui terrazzamenti attualmente esistente a Valstagna. Come dimenticare il documentario “Piccola Terra” che getta luce sui tentativi, tutti contemporanei, di recuperare i terrazzamenti della valle? Capiamo, da questi studi e da queste documentazioni, come l’intervento del singolo sia inserito in un contesto più ampio. Ieri come oggi, la salvaguardia paesaggistica è composta da azioni condivise. Le visioni particolari e individuali si coniugano con una dimensione d’insieme. Perché no, la vita in Valbrenta non è e non è mai stata come è stata pitturata da Giuseppe Taffarel, nel suo pur sempre suggestivo film neorealista “Fazzoletti di terra”, dove i due protagonisti si stagliano solitari contro masiere che sembrano schiacciare la loro esistenza. Non sembra esserci dialogo tra i due contadini e il paesaggio terrazzato. Eppure le conversazioni erano all’ordine del giorno. Basterebbe leggere Dea Casara e altri racconti del docente di materie agrarie Ivan Negrello per rendersene conto. Potrei citarne diversi, ma scelgo un passo tratto dal racconto Ho visto anche dei contadini felici:

«Mi ricordo le voci che echeggiavano per tutta la valle quando da ragazzo seguivo i miei nei campi di tabacco. Quelle grida scherzose di paesani che si parlavano da un terrazzamento all’altro mi sono rimaste dentro come una musica perduta»

Altri commenti sarebbero superflui, e mi limito a fare una considerazione:

queste risate, frasi scherzose e allegre, che facevano capolino tra una zolla appena zappata e l’altra, urlate per farsi udire nonostante il capo chino sulla terra, non è ciò che riecheggia anche oggi quando ci uniamo per recuperare qualche terrazzamento abbandonato? Quando decidiamo di recarci in Val Verta a pulire il Sentiero Espositivo Coltiva l’Arte? Quando ci armiamo di cesoie, decespugliatori, forbici e picconi per salire in cima al Col Ventidue Ore a donare nuovo splendore al sistema terrazzato delle Casarette? Non saranno le stesse risate – in fin dei conti i tempi sono altri, le esigenze e necessità diverse, le difficoltà di tutt’altro tipo – ma si assomigliano, dialogano tra loro nel tempo, si espandono nel paesaggio, forse, facendolo se non ridere, almeno sorridere. Che piccoli questi umani – potrebbe sussurrare un promontorio all’altro – Ma come si prodigano! E’ così bello quando con le loro mani e i loro piedi vengono a solleticarci la pelle, ci nutrono e ci curano. Non si arrendono, nonostante il nostro aspetto aspro. Si arrampicano…sono stambecchi o mufloni senza corna!”

Studenti dell’Istituto Agrario A. Parolini di Bassano del Grappa alle Casarette

Non è qualcosa di grandioso sentire il paesaggio che parla di noi? Perché non siamo solo noi umani a spendere parole sul paesaggio…no, siamo anche noi giudicati per le azioni che imprimiamo su ciò che ci circonda. La natura non usa voce, suono articolato… usa un linguaggio suo, ma quando parla con forza, non puoi rimanere sordo al suo messaggio. Crolli, frane, siccità, raccolto scarso, incendi, inondazioni quando il paesaggio e la natura vogliono comunicarci un loro disagio. Ma la maggior parte del tempo spendono parole di amore. Quelle che più preferisco sono i venti tiepidi che annunciano il ritorno di Persefone sulla terra, della Primavera che rinverdisce i versanti, i prati, i davanzali delle finestre.

“Progetti per Valorizzare il Territorio”… Valorizzare, valorizzato, valore. Torniamo alle origini del termine. Da valere, “essere forte, aver merito/pregio”. Quando un territorio è forte e ha meriti e pregi, è valorizzato e ha la capacità di trasmetterti quegli stessi valori. Immagina invece un paesaggio spoglio, degradato, afflitto da continue calamità, fragile, non curato, non amato… come ti sentiresti, ad abitare un posto simile? Da dove trai la forza? Da dentro te stesso? Ma dentro e fuori comunicano, da sempre. Un paesaggio degradato riflette un animo senza virtù.

Occuparsi di paesaggio è e deve essere un questione di spirito. Aiutiamoci a dar valore a ciò che ci circonda per acquisire pregio in ciò che custodiamo dentro. Solo così curiamo il paesaggio che è dentro di noi.

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