Di Ivan Negrello
Coltiva l’arte è nata per focalizzare, creare un punto di interesse dal quale irradiare disposizione a sentire la bellezza del paesaggio terrazzato.
Si potrebbe obiettare che l’equilibristico mondo delle masiere è di per sé opera d’arte capace di offrire emozioni che, non di rado, sconfinano nel sublime. Non dovrebbe quindi necessitare di nulla: la sua bellezza è lì davanti allo sguardo, chiunque può coglierla. A dirlo sembra facile, ma per vedere oltre il guardare non di rado occorre allenamento, ci vuole del riscaldamento.
L’iniziativa è nata a questo scopo, riscaldarsi con ciò che più di tutto dispone l’anima all’esperienza del riconoscimento istintivo della bellezza: l’arte in tutte le sue forme.
Il paesaggio terrazzato della Val Brenta appartiene a un passato che, come è giusto e naturale che sia, non tornerà. Anche si riuscisse dar vita a una agognata quanto generalizzata rinascita agronomica, che detto per inciso tutti auspicheremmo, questa si baserebbe su presupposti tecnici e motivazionali molto diversi da quelli che spinsero a erigere i muri a secco. Allora la fatica era quasi unilateralmente assorbita dalla coltivazione del tabacco. Ogni pietra posata sopra a un’altra sapeva di tabacco ancora prima che quel fazzoletto di terra che s’andava generando, potesse accogliere la solanacea. Dall’immediato dopoguerra la sacrificante coltivazione del tabacco è decaduta e non ce ne vogliano gli estimatori del Nostrano del Brenta, ma per un’infinità di motivi è bene che lo sia.
Tuttavia quel mondo non è veramente morto e non ci corrisponde solo con la materialità dei terrazzamenti, è fra noi anche con l’eco tutt’ora nitido delle voci di generazioni di valligiani che sapevano ricavare arte vera dalla quotidiana lotta per la sopravvivenza, genuine pratiche diventate nel tempo simbolo di orgoglio e resilienza. Una immateriale presenza che aleggia ancora dentro agli interstizi delle fragili masìere, nelle vecchie case abbracciate in borghi raccolti a risparmiare terra, in edifici fatti più per il tabacco che per la gente, nei trodi stretti e sospesi.
È nostro compito quindi conservare non solo il materiale, ma anche e forse ancor di più l’immateriale e con questa nuova stagione di “Coltiva L’Arte” si intende proprio procedere in questo senso, con una novità rispetto all’edizione precedente: abbiamo scelto che sia la pietra l’elemento costruttivo principe o quantomeno lo sia nella sua forma simbolica.
Nel gravore della pietra è sedimentata l’intera epopea del popolo del tabacco. Quei muri a secco però non hanno sostenuto solo fazzoletti di terra faticosamente vitalizzata con sapienza agronomica, ma anche e soprattutto un arioso respiro di libertà da terre alte. Coe sgalbare ma, paroni a casa sua.
Che si evochi quindi la pietra in un luogo dove quasi tutto le dipende è quanto mai comprensibile, ma la straordinarietà dell’universo dei terrazzamenti nel quale Coltiva l’Arte si specchia pretendeva che alla greve staticità della pietra fosse contrapposto un più vitale precario dinamismo che si rapportasse alla dimensione spirituale. Ci è venuto in soccorso “equilibrio”. Così il titolo della nuova stagione artistica di Coltiva L’arte sarà appunto “Tra pietra ed Equilibrio”
Ma perché “Equilibrio”?
Semplicemente perché non esiste parola che possegga semantica più rappresentativa del mondo sospeso delle masiere, in tutte le sue declinazioni.
II terrazzamenti vivono sull’equilibrio delle masiere perennemente poste sull’orlo della rovina. Persino nel triste momento del loro franare, quando si sgretola il patto con la fatica che le forgiò, da quei tonfi di pietre che si consegnano alla gravità, ci viene un grido di vitale tensione a un nuovo equilibrio. Come se il caos che arena in basso assolvesse quelle pietre dalla colpa di aver a lungo goduto di un innaturale equilibrio pagato con troppa umana fatica. Franando consegnano pace a sé stesse e a quegli uomini che più non sono e pace è equilibrio.
Ma dove equilibrio trovava la sua collocazione più pregnante è nella definizione del vivere il mondo terrazzato. Per vivere, nel senso di dimorare e trarre sostentamento, in un territorio come quello del Canal di Brenta bisognava essere bravi e addestrati. Quando hai poco di tutto è necessario che ogni azione si armonizzi col resto in un contesto di perfetto olistico equilibrio; non ti è consentito sgarrare, sprecare, né forze né risorse. Su questi declivi ogni scelta era figlia di un lungo processo storico che per prova ed errore aveva codificato l’agire più economico, tramandato di generazione in generazione per imitazione. Come dire se non ci sei nato e cresciuto in un ambiente così lascia perdere.
È possibile che l’umanità non si ritrovi più nella condizione di dover fare quella vita, ma sicuramente, e non occorre essere profeti per prevederlo, il futuro non sarà di vacche grasse, almeno non lo sarà per molti. Pensare di continuare all’infinito con questi livelli di consumo delle risorse è impensabile, allora forse potrà venire in soccorso la consapevolezza che c’è stato un tempo in cui, senza rinunciare alla felicità, si “consumava” in modo “equilibrato”.
Che equilibrio diventi la parola salvifica capace di diradare le nebbie che avvolgono il futuro dell’uomo, che il felice gioco dell’arte ne diventi il prodomo.
E allora avanti riempiamo di arte, bellezza e equilibrio i terrazzamenti di Valverta se lo aspettano, se lo meritano, loro, noi e chi vi faticò.